La Cassazione ribadisce: interamente a carico del S.S.N. le rette del malato di Alzheimer se le prestazioni sanitarie sono “inscindibili” da quelle socio-assistenziali

La Cassazione ribadisce: interamente a carico del S.S.N. le rette del malato di Alzheimer se le prestazioni sanitarie sono “inscindibili” da quelle socio-assistenziali
20 Ottobre 2021: La Cassazione ribadisce: interamente a carico del S.S.N. le rette del malato di Alzheimer se le prestazioni sanitarie sono “inscindibili” da quelle socio-assistenziali 20 Ottobre 2021

Una nuova sentenza della Corte di cassazione (la n. 21528/2021) ribadisce che le rette di mantenimento dei malati cronici (nella specie: di Alzheimer) sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale quando all’utente vengano rese prestazioni sanitarie che siano “inscindibili” rispetto a quelle socio-assistenziali.

Nella complessa motivazione la Corte ha, fra l’altro, ribadito che “in tema di prestazioni a carico del S.S.N., l'art. 30 della I. n. 730 del 1983 - che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali - deve essere interpretato, alla stregua della I. n. 833 del 1978 che prevede l'erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del S.S.N.”.

In particolare, “il criterio della cronicità della malattia, che varrebbe ad escludere la sussistenza della prestazione sanitaria e, di conseguenza, la sua gratuità per il soggetto che ne beneficia non assume rilievo decisivo. L'onere di pagamento delle prestazioni rese al paziente psichiatrico, in cura, rimane in capo al Servizio Sanitario Nazionale e non a carico dell'utente, neppure pro quota”.

La sentenza ha poi osservato che, nel caso degli ospiti delle RSA e comunque delle strutture convenzionate col S.S.N., “a partire da Cass. 28321/2017, questa Corte ha ribadito che, nel caso di prestazione socioassistenziale "inscindibile" dalla prestazione sanitaria, l'intervento "sanitario-socio assistenziale" rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all'assistito dal SSR, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed è quindi inserita a pieno titolo nell'ambito organizzativo e funzionale del Servizio Sanitario pubblico, regolato da tariffe imposte”. 

Ed ha pure affermato che “ai fini dell’"assistenza sanitaria obbligatoria"” rileva l’"esistenza di un piano di cura personalizzato, mentre, “al contrario, qualora la prestazione socioassistenziale prescinda dalla congiunta realizzazione dello scopo terapeutico (ossia nel caso in cui il ricovero nella struttura residenziale non sia accompagnato da un "piano di cura personalizzato"), la prestazione rimane estranea all'ambito dell'assistenza sanitaria obbligatoria” e quindi può essere assoggettata ad una compartecipazione nella spesa dell’utente o Comune del domicilio di soccorso.

Fatte queste premesse, la Corte ha rilevato che, nel caso specifico, la sentenza impugnata aveva precisato che "le prestazioni socio assistenziali erogate” all’utente “durante il ricovero presso” una RSA “erano inscindibilmente connesse a quelle sanitarie – di consistente rilievo attesa la gravità delle condizioni del degente, come sopra esposto - effettuate nei confronti del medesimo in forza di un programma terapeutico personalizzato, come si evince dalla documentazione in atti, vagliata dal CTU", così facendo corretta applicazione dei suddetti principi giurisprudenziali.

Ed ha rigettato il ricorso contro di essa proposto, in quanto inammissibile, perché questo, non l’aveva specificamente censurata sotto questo profilo, fondandosi le doglianze espresse dalla ricorrente sulla mera ricognizione del "quadro generale della disciplina di settore”, che la decisione impugnata avrebbe, a suo dire, male interpretato ed erroneamente applicato al caso dell’utente interessato.

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